Abbiamo intervistato Luisa, insegnante e volontaria dell’Associazione Amici del Sermig Vicenza APS, realtà che promuove attività di formazione sui temi della pace, della solidarietà e della mondialità.
Luisa ha partecipato al progetto “Vuoi sapere chi sono? Pillole di autismo” e ci ha raccontato la sua esperienza.
Cosa ti/vi ha colpito di più durante il percorso Vuoi sapere chi sono? e in che modo ha cambiato il tuo sguardo educativo verso i ragazzi con autismo?
Il percorso “Vuoi sapere chi sono?” ha permesso a me e ai volontari della nostra associazione di approfondire il funzionamento dei ragazzi con autismo. In particolare ci ha aiutato a riconoscere alcuni atteggiamenti tipici e suggerito alcune strategie per relazionarci in modo corretto.
Come stai/state traducendo nella pratica quotidiana delle attività quello che hai imparato nel progetto? Ci racconti un esempio concreto?
In seguito al corso abbiamo esplicitato in modo più chiaro alcune regole. Questo ci ha permesso di mettere dei punti fermi che hanno definito in modo chiaro alcuni limiti. Abbiamo inoltre modificato alcuni nostri atteggiamenti: abbiamo capito che spesso la sgridata diventa un rinforzo positivo e quindi abbiamo cercato di non fissare l’attenzione su atteggiamenti non adeguati al contesto e ci siamo concentrati a rinforzare i punti di forza.
Quali sono, secondo te/voi, gli ostacoli più frequenti che un contesto educativo come il vostro può incontrare nell’essere davvero inclusivo? E come si possono superare?
Il nostro contesto è molto flessibile, non ci sono routine che scandiscono i tempi in modo stabile e spesso ci sono persone nuove che si aggiungono creando dinamiche sempre nuove. Per favorire l’inclusione cerchiamo di affiancare sempre le persone più fragili con qualcuno che conosca bene la situazione e che sia in grado di intervenire tempestivamente in caso di bisogno. Può succedere ad esempio che ci sia bisogno di mediare nel dialogo oppure di accompagnare un attimo un ragazzo in un contesto più tranquillo per evitare sovraeccitazione oppure semplicemente può bastare esserci per dare sicurezza e rassicurare sui tempi e sulle modalità dello stare in quella situazione.
Che ruolo hanno l’empatia e l’ascolto nella costruzione di un’esperienza che sia significativa per tutti, anche per chi ha un funzionamento neurodivergente?
L’empatia e l’ascolto penso siano la base per qualsiasi relazione. Penso che sia fondamentale che l’altra persona si senta accolta, capita, rispettata. Se si riesce a instaurare una relazione su questo, allora si può creare un rapporto di fiducia dove anche la persona con un funzionamento neurodivergente può sentirsi sostenuta e guidata nello stare nel contesto.
Se potessi/se poteste condividere una “pillola di consapevolezza” con altri educatori che non hanno ancora fatto questo percorso, cosa diresti per invitarli a iniziare?
Direi che non bastano il buon senso e la buona volontà per relazionarci in modo adeguato con chi ha un funzionamento neurodivergente. Spesso possiamo noi adottare dei comportamenti che vanno ad accentuare alcuni loro atteggiamenti. Fare un percorso, anche inizialmente breve, permette di avere un quadro del funzionamento del ragazzo che si vuole accogliere e permette di relazionarsi in modo più consapevole. Soprattutto permette di modificare alcuni nostri modi di porci, senza stravolgere tutto il gruppo o tutto il contesto, e di favorire un maggior benessere di tutti.