L’autismo è considerato una condizione “a spettro”.

Questo significa che c’è una gamma di caratteristiche, sintomi e intensità che le persone con autismo possono manifestare.

L’autismo non è una condizione unica e uniforme, ma ha al suo interno una variabilità di esperienze che vanno affrontate tutte in modo diverso.

La definizione a spettro aiuta a spostare finalmente l’attenzione sulla persona e non sull’etichetta, evidenziando che ogni individuo nello spettro ha capacità, bisogni e punti di forza unici.

 

Per molto tempo si è parlato di autismo in base a diversi livelli di gravità e all’alto o basso funzionamento, e questo comportava anche un diverso livello di supporto, che variava a seconda della presunta gravità.

Questo approccio, però, rischiava di lasciare senza intervento chi mostrava capacità adattive più elevate, ignorando che ogni individuo merita un sostegno continuo e adeguato.

In passato, si parlava di sottocategorie, come “sindrome di Asperger” o “autismo classico.”

Dare un nome alle cose può aiutare a capire, può anche contribuire a etichettare e circoscrivere in maniera troppo rigida normalità che diventano malattie.

Oggi sappiamo che l’autismo non è qualcosa da “curare” o “cambiare”: l’autismo è una condizione, “è un modo di essere” come dicono gli autistici stessi, “è un viverci dentro, non è qualcosa di curabile, non è una cosa che puoi cambiare, è una cosa che c’hai per tutta la vita”, autistico “è tutto, è libertà”.

 

Considerare l’autismo come una condizione “a spettro” invece aiuta a riconoscere la complessità e la ricchezza delle esperienze individuali, favorendo un approccio più personalizzato e inclusivo.

 

Per noi è importante che ogni persona, indipendentemente dal livello di funzionamento, abbia diritto a interventi mirati e a un lavoro continuativo che la sostenga nel suo percorso di crescita.