Emanuela è la mamma di Sofia, una ragazza autistica che compirà 20 anni a luglio.
Quando a Sofia venne diagnosticato l’autismo, di autismo si parlava pochissimo. I servizi erano pochi, i professionisti stavano appena iniziando a formarsi, e le famiglie si trovavano improvvisamente immerse in un mondo sconosciuto, senza sapere da dove cominciare per garantire ai propri figli una vita serena.
Nel tempo, Emanuela ha contribuito alla nascita di ABAut, oggi ne è la presidente e ogni giorno affianca altri genitori nel percorso complesso e spesso faticoso che si trovano ad affrontare.
Tra le difficoltà, quella della burocrazia è tra le più pesanti, soprattutto quando i figli crescono e si affacciano all’età adulta, un momento delicato e pieno di incognite.
In questa intervista Emanuela parla del “doppio carico” che vivono i genitori e dei diritti degli autistici nella transizione alla vita adulta.
A cosa stai lavorando per Sofia in questi mesi?
Un genitore di un figlio autistico non si ferma mai. Deve informarsi continuamente, compilare moduli, scrivere relazioni, inoltrare domande per ottenere i contributi a cui ha diritto.
Il consiglio che do sempre è: parlate tra genitori, condividete le informazioni. Io, per esempio, anni fa, ho saputo da un’altra mamma dell’esistenza di un contributo per studenti delle scuole superiori che non raggiungono autonomamente la propria scuola senza quel passaparola, non l’avrei mai ottenuto!
Ti aiuta lavorare per ABAut?
Sì, rappresenta una postazione privilegiata. Riusciamo a intercettare in anticipo informazioni importanti per le famiglie.
L’associazione è nata proprio per questo: essere un punto di riferimento per genitori già oberati tra scuola, terapie, impegni quotidiani, e magari altri figli da seguire.
Appena riceviamo una comunicazione utile, la rilanciamo subito.
Un esempio recente è stata la scadenza anticipata del contributo regionale del Veneto per le famiglie che utilizzano terapie ABA: siamo riusciti ad avvisare per tempo tutte le famiglie dell’associazione e a sostenere nella procedura chi ne aveva bisogno.
Quali sono le pratiche che un genitore si trova ad affrontare?
Sono tantissime. Io parlo spesso di “doppio carico”.
Oltre alla gestione degli aspetti terapeutici e relazionali con terapisti, assistenti sociali, insegnanti, bisogna fare i conti con una burocrazia intricata.
Compilare pratiche online alle 11 di sera con lo SPID è ormai la normalità. E non è detto che tutti i genitori abbiano le competenze digitali, o la lingua, o la lucidità per farlo senza stress.
Non è facile, ma il mio consiglio è sempre lo stesso: non mollate.
Solo chi fa domande, insiste, cerca, alla fine ottiene. E bisogna anche dire che il Veneto è una regione che offre molto, se sai come muoverti. Ci sono passaggi precisi da fare.
Cosa succede quando un figlio autistico entra nell’adolescenza?
È una fase delicata per tutti, ma per i ragazzi autistici lo è ancora di più. Vivono i cambiamenti ormonali come tutti gli adolescenti, ma senza avere gli strumenti per esprimersi. Molti genitori arrivano esausti.
Il mio consiglio è cominciare presto a pensare al futuro. Intorno ai 12 anni, io ho iniziato a pensare molto al futuro di Sofia. Mi facevo molte domande, così abbiamo cominciato a lavorare molto sull’autonomia di Sofia fuori casa. A 16 anni ho fatto subito richiesta all’assistente sociale che la seguiva affinchè ci desse un maggiore supporto. Volevo che Sofia cominciasse a frequentare un centro diurno e che cominciasse subito un inserimento ponderato e graduale.
Da qualche anno stiamo seguendo un progetto per farle sperimentare la vita in comunità: si tratta della struttura Ca’ Trentin a Villabalzana – Longare (VI). Abbiamo iniziato con qualche notte fuori, e speriamo riesca a integrarsi.
Non è semplice. Conosco mamme che vivono situazioni drammatiche: noi genitori invecchiamo, mentre i nostri figli sono nel pieno delle loro forze, e preservarsi ed avere cura anche di sé, non è sempre facile.
Quando un figlio neurotipico sbatte la porta, magari urla, si chiude in camera o va via. Un adolescente autistico invece, non riconosce e non riesce ad esprimere le sue emozioni, le frustrazioni e ciò implica delle reazioni non sempre adeguate. E questo fa stare male anche noi.
