Dopo il successo della prima edizione nel 2024, a giugno riparte Vuoi sapere chi sono?, il programma di sensibilizzazione ideato e sostenuto da ABAut con il cofinanziamento della Fondazione Monte di Pietà di Vicenza, pensato per formare educatori, animatori, volontari e operatori giovanili su come accogliere e includere in modo efficace bambini e ragazzi nello spettro autistico.

Il cuore del progetto è semplice e allo stesso tempo molto potente: una comunità è davvero attenta a un tema sociale quando lo sono tutte le persone che la compongono, in ogni momento.
Per questo è fondamentale coinvolgere tutte quelle figure adulte che, al di fuori della famiglia e della scuola, rappresentano per i più giovani un punto di riferimento umano, valoriale ed educativo.
Abbiamo chiesto a Francesca Abalti, psicologa di Woli stp studio, una realtà specializzata in autismo e partner del progetto, di raccontarci qualcosa in più.

Francesca, com’è nato questo progetto?

ABAut ha coinvolto me e la mia collega Margherita Maran dello studio Woli s.t.p, formato da un team di psicologhe specializzate nei disturbi del neurosviluppo, per costruire un percorso rivolto ai giovani educatori del territorio. Lavoriamo da anni con persone nello spettro, promuovendo esperienze che li aiutino a sviluppare autonomia e competenze sociali, anche attraverso lo sport, la cucina, la gestione del tempo libero. È fondamentale che anche fuori dalla famiglia e dalla scuola, i bambini con autismo possano vivere ambienti aperti e inclusivi, come campi scout o spazi parrocchiali. Ma perché ciò sia possibile, serve una preparazione adeguata.

Quali sono gli obiettivi principali del corso?

Far crescere la consapevolezza negli educatori e aiutarli a capire come “funzionano” questi bambini: come metterli a loro agio, come leggere i loro bisogni e creare le condizioni per una reale inclusione. Solo conoscendo davvero una realtà, si può superare la paura o l’insicurezza. Io credo che con l’autismo sia così: più lo si conosce, più ci si relaziona.

Come si articola il percorso?

Il corso si divide in due fasi: una prima parte teorica e una seconda parte molto concreta, fatta di strategie pratiche, simulazioni ed esercizi esperienziali. L’obiettivo è quello di far vivere ai partecipanti un’esperienza empatica, per mettersi nei panni di un bambino con autismo. Così si capisce davvero cosa può voler dire affrontare certi ambienti o situazioni con una sensibilità diversa. Il messaggio è: sono simili per alcune caratteristiche, ma ogni bambino è unico.

Quali strumenti fornite durante il percorso?

Abbiamo costruito un piccolo manuale operativo. Contiene consigli utili, come le domande da porre ai genitori al primo incontro o le strategie generali di base da usare nei momenti di crisi. Insegniamo a creare contesti protetti, ad esempio limitando stimoli sensoriali eccessivi. E sottolineiamo sempre l’importanza del dialogo tra educatori e professionisti che seguono il bambino: il lavoro in rete fa la differenza.

E cosa ci aspetta nella prossima edizione?

Partiremo a giugno con due incontri formativi, e ne programmeremo un terzo a settembre, per confrontarci dopo l’estate e riflettere sulle esperienze fatte nei campi scout. Il nostro obiettivo è formare educatori sicuri e consapevoli del loro ruolo, che per le famiglie è davvero fondamentale. Ogni spazio ricreativo è anche uno spazio di apprendimento: è giusto e necessario che anche i bambini autistici vi siano accolti nel miglior modo possibile.