Quando le dicevano che erano solo “paturnie da mamma chioccia”, Emanuela Gridelli sapeva che non era così. Sofia è la sua terza figlia, voluta e avuta a quasi quarant’anni, vicinissima alle altre due sue prime figlie.

Emanuela sapeva benissimo come si comportano i bambini piccoli a quell’età, sapeva benissimo che le bambine sono sempre più vivaci e dinamiche. In più chi arriva per ultimo ha sempre quella marcia in più tipica di chi ha sorelle o fratelli più grandi.
Sofia invece la guardava e non chiedeva nulla.
Se Emanuela preparava la tavola, si sedeva per mangiare, ma non diceva mai se aveva sete, o meno.
Le dicevano di ridimensionare la sua paura, le venne consigliato di far visitare Sofia da una logopedista e di non preoccuparsi, che non era niente.
Lei, con un peso nel cuore, dalla logopedista ci è andata e lì le hanno invece riferito che sì, c’erano dei problemi.
“Non è stato certo un sollievo saperlo, intendiamoci. Ma cosa sarebbe stato se fossi stato un genitore diverso, se non avessi insistito per capire? Il problema è che più tardi viene realizzata una diagnosi di autismo, più tardi si iniziano gli interventi terapeutici, che per ogni bambino sono diversi. La definizione del profilo individuale il più presto possibile è di estremo aiuto a rendere il percorso abilitativo il più efficace possibile: più è precoce la diagnosi, più si hanno margini di lavoro”.

Emanuela Gridelli è presidente di ABAut, è una delle fondatrici dell’Associazione assieme a Manuela Roberto, Maurizio Morello, Davide Mancini e Monica Rigotti e quando le chiedo cos’è per lei ABAut mi dice: “Io mi addormento alla sera pensando ad ABAut e mi sveglio pensando ad ABAut”.

 

I Soci fondatori di ABAut

 

La sua non è semplice impegno e determinazione. C’è sempre, quando parla, quell’energia di chi, quando si mette in testa una cosa, non molla. Sua figlia Sofia ha la sua prima diagnosi a tre anni e lei, come tutti i genitori che si sono trovati nella stessa situazione, è stata una mamma completamente persa. “Quello che mi dicono i genitori che chiamano ABAut per la prima volta, io lo capisco benissimo. Mi raccontano in molti che non sanno dove sbattere la testa. Io li ascolto, credo sia l’unica cosa giusta da fare all’inizio. Ascoltarli e dargli una mano a capire, a districarsi nelle mille cose da fare subito, a prendere coscienza, ognuno con i propri tempi.”

Dopo la diagnosi di Sofia, Emanuela comincia ad informarsi, a frequentare corsi per capire cosa fare e come farlo. La neuropsichiatria infantile dell’ULSS 8 Berica le fornisce i primi servizi base e i corsi di logopedia e psicomotricità. “Allora si riusciva ad avere questi servizi in tempi brevi, oggi i tempi si sono dilatati moltissimo, fino a quasi sei mesi di attesa”.

 

 

Emanuela voleva capire se poteva fare di più ed è lì che conosce Manuela, una mamma che aveva un bambino autistico più piccolo di Sofia. Ed è proprio lei che la convince a intraprendere un percorso ABA. “Manuela è sempre stata una persona generosa, sensibile, dolcissima, si impegnava moltissimo”. All’inizio ha dei dubbi perché era certa che l’ABA per Sofia fosse un intervento troppo intensivo e rigido.
“Manuela però insisteva molto, nel frattempo eravamo diventate molto amiche e quindi ad un certo punto mi sono convinta. All’inizio è stato molto intenso perché è un percorso che necessita di energia, da parte di tutta la famiglia.”

Poi c’era l’aspetto economico.
“È costoso per una famiglia, molti rinunciano soprattutto per motivi economici.”
E lì Emanuela con Manuela cominciano a frequentare la dottoressa Monica Rigotti, all’epoca una delle pochissime analista del comportamento che stava ottenendo importanti certificazioni, e cominciano a sognare qualcosa di diverso. Quello che le spinge a muoversi con decisione è la percezione di forte ingiustizia che è alla base di una rinuncia ad intraprendere un percorso solo per motivi economici.
“Rinviare un intervento ABA per motivi economici, porta inevitabilmente a un rallentamento del processo di miglioramento. E tutto, anche andare al supermercato, diventa un problema. Se ci ripenso, credo sia stata la pura casualità a metterci in collegamento. Il marito della dott.ssa Rigotti, Davide Mancini, da anni faceva molto volontariato, e insieme a lui abbiamo deciso di fare una summer school. La consulenza scientifica e tecnica era a cura della dott.ssa Rigotti, mentre Emanuela, Manuela e Davide si dedicano a tutto il resto.


Era il 2012, c’erano quindici bambini, è stata una settimana incredibile. Lì abbiamo capito quanto bisogno c’era di confrontarsi e di uscire allo scoperto soprattutto.”
È grazie alla sensibilità della giunta dell’epoca del Comune di Camisano che ottengono gli spazi per realizzare la Summer School. Il successo è tale che proprio il Comune invita i futuri fondatori di ABAut a creare un’associazione.
“Non ci avevamo mai pensato, ma è diventato un chiodo fisso. Quello che mi spingeva non era solo mia figlia, ma la voglia di essere d’aiuto, di dare un supporto concreto. Abbiamo fondato ABAut con l’idea che vadano colte tutte le opportunità per far crescere i ragazzi, le loro famiglie e tutte le figure a loro vicino.”
Poi ancora il destino: il Comune di Camisano organizza la presentazione del libro di Fulvio Ervas “Se ti abbraccio non aver paura” ed Emanuela, a margine della presentazione gli si avvicina, gli parla di ABAut e gli chiede come incontrare Franco Antonello, che dirige la fondazione I Bambini delle Fate.
“E lui mi passa subito il numero di cellulare di Antonello! Erano sicuramente altri tempi…Provo a chiamarlo, ma niente. Mi disse di aspettare che lui avrebbe sicuramente richiamato. E così è stato! Dopo una settimana, mi ricordo ancora che ero in macchina con Sofia, mi sono fermata e gli ho raccontato di ABaut! Ero un fiume in piena!”

Quello che motiva soprattutto oggi Emanuela, è l’esigenza di aiutare le famiglie a creare la giusta rete di professionisti di supporto.

“Molte famiglie purtroppo provano ancora vergogna, per esempio ad affrontare un comportamento-problema del proprio figlio in pubblico. Chiudersi in sé stessi invece non fa bene, è solo attraverso la condivisione e il confronto con gli altri, con gli esperti e altre famiglie, che si crea la giusta consapevolezza per affrontare tutto. Altrimenti tutto diventa una frustrazione”.
“Il primo progetto che abbiamo realizzato è stato Paletta & Secchiello che permette alle famiglie di avere un pacchetto di ore di supervisione e sessione a domicilio a sostegno della famiglia. Oggi, dopo 11 anni di operato, i progetti sono 21 e siamo particolarmente orgogliosi di quello che abbiamo creato, le attività raccontano bene i nostri obiettivi, ossia sostenere la famiglia a 360° gradi”.
Oggi l’associazione è formata da sei persone, cinque nel direttivo e un consigliere.
E Sofia oggi ha già 19 anni.
“Le sorelle di Sofia, soprattutto durante la loro adolescenza, hanno sofferto molto. Perché per un quattordicenne dover rinunciare a una festa di compleanno o a qualche uscita a causa dei tanti impegni familiari che ruotano attorno ai tanti interventi educativi, è faticoso. Sofia però è molto legata alle sorelle, la maggiore oggi vive fuori casa, e quando torna per una cena o per una ricorrenza, Sofia le chiede sempre di togliersi le scarpe. Perché sa che quello significa che starà di più con lei.”